mercoledì 1 aprile 2015

Rappresentanza o autorappresentazione? Note a margine delle elezioni universitarie

A quasi una settimana dalle ultime elezioni universitarie del polo torinese, passate eventuali sbornie dei vincitori (cosa ci sarà da festeggiare con un'affluenza al 7% dimezzata rispetto alla scorsa tornata resta da capire, ma tant'è…) e prevedibili rammarichi della governance universitaria, proviamo a prendere parola per analizzare i nodi concettuali e le contraddizioni emerse dopo una delle più scontate e superflue tornate elettorale degli ultimi anni.

Le due giornate di elezioni universitarie si sono concluse con la vittoria, prevedibile, della lista Studenti Indipendenti (se si pensa che le altre candidature erano sponsorizzate dai neofascisti del Fuan e dalle eminenze grigie di Comunione e Liberazione, il quadro si mostra ancora più desolante...). Questo dato, più che essere sintomo di novità o di una rinnovata fiducia degli studenti verso i propri rappresentanti, ci fornisce la cifra della totale irrilevanza nella quale è andato in scena il teatrino elettorale.
Vorremmo poter dare a questo evento il giusto peso in termini di riscontro politico, di un'effettiva rispondenza sul terreno delle lotte universitarie o quantomeno di una gestione più accondiscendente nei confronti delle esigenze reali degli studenti, ma siamo – nostro malgrado – costretti a scontrarci con la dura realtà dei fatti. 

Il dato più interessante dal nostro punto di vista è in primo luogo l’affluenza, che si attestava nella prima giornata al 3,6%  per poi risalire di qualche punto percentuale il giorno successivo e attestarsi infine intorno al 7,7%. Interessante soprattutto perché mette in luce la profonda crisi in cui versa la rappresentanza - se mai questo temine abbia goduto di buona salute – e rivela la pochezza di un meccanismo ormai completamente svuotato della sua legittimità e definitivamente scollegato dei bisogni reali della componente studentesca.

Il risultato ottenuto è quello di un en plein di poltrone, una ben magra consolazione che, nei fatti, ci restituisce l'immagine di un Consiglio d’amministrazione e di un Senato accademico in cui una sola lista è egemone – e fin qui, quasi nulla di nuovo – ma che soprattutto all'oggi si trova ad un bivio fondamentale. Se, infatti, i toni della campagna elettorale di quest'anno sono stati piuttosto smorzati e poco intraprendenti (si andava da un classicissimo “Prima gli italiani” del Fuan alla rivendicazione di spazi e lotte costruite da terzi da parte dei SI e di Obiettivo Studenti), resta il dato di fatto di una rappresentanza che si trova all'oggi a dover scegliere se mantenere un'ottica di compatibilità e compiacenza nei confronti degli organi dirigenziali dell’università, oppure se tentare effettivamente una frattura - laddove necessario - per rendere il ruolo in cui essi si sono (auto)relegati qualcosa di più di una pallida copia di una burocrazia pedissequa e remissiva.

Si è parlato tanto, durante queste elezioni, dei cambiamenti che sta vivendo l'università negli ultimi anni (a partire dal riflusso del movimento No Gelmini, aggiungiamo noi), ma chi ama essere rappresentato (o autorappresentarsi, a seconda dei punti di vista) in ambito istituzionale è realmente disposto a porsi contro ad una governance che, mettendo in atto una metamorfosi strutturale degli spazi (Campus Einaudi, Murazzi student zone, sgombero delle esperienze di autogestione) e delle condizioni di vita (nuovi regolamenti disciplinari, accesso limitato alle biblioteche, assenza di luoghi di socialità e aggregazione) tenta di tramutare l'università in un non-luogo del profitto e della produttività perpetua (in piena continuità con i paradigmi di un “neoliberismo creativo” in salsa 2.0 che adempie ai parametri delle politiche renziane)? Facciamo difficoltà a crederlo, tanto più dopo avere visto la strumentalità con la quale lotte in cui ci vediamo impegnati da anni finiscono con l'essere sussunte, depotenziate e riciclate in funzione propagandistica da quelle stesse persone che, nel momento di prendere posizione, si sono sempre sottratte in nome di una non meglio specificata velleità a “fare le cose in un altro modo”.

La vittoria dei rappresentanti studenteschi è una vittoria di Pirro che fa loro comodo in senso utilitaristico (ogni eletto riceve un gettone presenza per ogni seduta) e che, contestualmente, fa perdere loro il contatto con quel 92,7% di studenti che non ha voluto votare perché stanca (o meglio, inconsapevole dell'esistenza) di una rappresentanza vuota, di una burocrazia kafkiana ed inutile che negli ultimi anni si è sempre più prodigata nel portare a casa magri bottini per gli studenti e grandi vantaggi per baroni e professori. Detto ciò, una rappresentanza vicina alle lotte sociali – non per appropriarsene meschinamente per fini elettorali, ma per alimentarle - non ci è per forza nemica, e queste righe non vanno intese come una tirata d'orecchi nei confronti di chi sceglie la via della rappresentanza, bensì come un invito  alle sue componenti più genuine, alla riflessione collettiva per immaginare nuove prospettive di lotta nell'università. Chi invece non riesce a capire la complessità della posta in gioco e al conflitto preferisce sempre e comunque la complicità con le istituzioni accademiche non possiamo che consideralo - insieme ad esse - come un ostacolo e, conseguentemente, nostra controparte.