A quasi una
settimana dalle ultime elezioni universitarie del polo torinese, passate
eventuali sbornie dei vincitori (cosa ci sarà da festeggiare con un'affluenza
al 7% dimezzata rispetto alla scorsa tornata resta da capire, ma tant'è…) e
prevedibili rammarichi della governance universitaria, proviamo a prendere
parola per analizzare i nodi concettuali e le contraddizioni emerse dopo una
delle più scontate e superflue tornate elettorale degli ultimi anni.
Le due giornate di
elezioni universitarie si sono concluse con la vittoria, prevedibile, della
lista Studenti Indipendenti (se si pensa che le altre candidature erano
sponsorizzate dai neofascisti del Fuan e dalle eminenze grigie di Comunione e
Liberazione, il quadro si mostra ancora più desolante...). Questo dato, più che
essere sintomo di novità o di una rinnovata fiducia degli studenti verso i
propri rappresentanti, ci fornisce la cifra della totale irrilevanza nella quale
è andato in scena il teatrino elettorale.
Vorremmo poter dare a questo evento
il giusto peso in termini di riscontro politico, di un'effettiva rispondenza
sul terreno delle lotte universitarie o quantomeno di una gestione più
accondiscendente nei confronti delle esigenze reali degli studenti, ma siamo –
nostro malgrado – costretti a scontrarci con la dura realtà dei fatti.
Il dato più
interessante dal nostro punto di vista è in primo luogo l’affluenza, che si
attestava nella prima giornata al 3,6%
per poi risalire di qualche punto percentuale il giorno successivo e
attestarsi infine intorno al 7,7%. Interessante soprattutto perché mette in
luce la profonda crisi in cui versa la rappresentanza - se mai questo temine
abbia goduto di buona salute – e rivela la pochezza di un meccanismo ormai
completamente svuotato della sua legittimità e definitivamente scollegato dei
bisogni reali della componente studentesca.
Il risultato
ottenuto è quello di un en plein di poltrone, una ben magra consolazione
che, nei fatti, ci restituisce l'immagine di un Consiglio d’amministrazione e
di un Senato accademico in cui una sola lista è egemone – e fin qui, quasi
nulla di nuovo – ma che soprattutto all'oggi si trova ad un bivio fondamentale.
Se, infatti, i toni della campagna elettorale di quest'anno sono stati
piuttosto smorzati e poco intraprendenti (si andava da un classicissimo “Prima
gli italiani” del Fuan alla rivendicazione di spazi e lotte costruite da terzi
da parte dei SI e di Obiettivo Studenti), resta il dato di fatto di una
rappresentanza che si trova all'oggi a dover scegliere se mantenere un'ottica
di compatibilità e compiacenza nei confronti degli organi dirigenziali
dell’università, oppure se tentare effettivamente una frattura - laddove
necessario - per rendere il ruolo in cui essi si sono (auto)relegati qualcosa
di più di una pallida copia di una burocrazia pedissequa e remissiva.
Si è parlato tanto,
durante queste elezioni, dei cambiamenti che sta vivendo l'università negli
ultimi anni (a partire dal riflusso del movimento No Gelmini, aggiungiamo noi),
ma chi ama essere rappresentato (o autorappresentarsi, a seconda dei punti di
vista) in ambito istituzionale è realmente disposto a porsi contro ad una
governance che, mettendo in atto una metamorfosi strutturale degli spazi
(Campus Einaudi, Murazzi student zone, sgombero delle esperienze di
autogestione) e delle condizioni di vita (nuovi regolamenti disciplinari,
accesso limitato alle biblioteche, assenza di luoghi di socialità e
aggregazione) tenta di tramutare l'università in un non-luogo del profitto e
della produttività perpetua (in piena continuità con i paradigmi di un
“neoliberismo creativo” in salsa 2.0 che adempie ai parametri delle politiche
renziane)? Facciamo difficoltà a crederlo, tanto più dopo avere visto la
strumentalità con la quale lotte in cui ci vediamo impegnati da anni finiscono
con l'essere sussunte, depotenziate e riciclate in funzione propagandistica da
quelle stesse persone che, nel momento di prendere posizione, si sono sempre
sottratte in nome di una non meglio specificata velleità a “fare le cose in un
altro modo”.
La vittoria dei
rappresentanti studenteschi è una vittoria di Pirro che fa loro comodo in senso
utilitaristico (ogni eletto riceve un gettone presenza per ogni seduta) e che,
contestualmente, fa perdere loro il contatto con quel 92,7% di studenti che non
ha voluto votare perché stanca (o meglio, inconsapevole dell'esistenza) di una
rappresentanza vuota, di una burocrazia kafkiana ed inutile che negli ultimi
anni si è sempre più prodigata nel portare a casa magri bottini per gli
studenti e grandi vantaggi per baroni e professori. Detto ciò, una
rappresentanza vicina alle lotte sociali – non per appropriarsene meschinamente
per fini elettorali, ma per alimentarle - non ci è per forza nemica, e queste
righe non vanno intese come una tirata d'orecchi nei confronti di chi sceglie
la via della rappresentanza, bensì come un invito alle sue componenti più genuine, alla
riflessione collettiva per immaginare nuove prospettive di lotta
nell'università. Chi invece non riesce a capire la complessità della posta in
gioco e al conflitto preferisce sempre e comunque la complicità con le
istituzioni accademiche non possiamo che consideralo - insieme ad esse - come
un ostacolo e, conseguentemente, nostra controparte.