È di questi giorni l’articolo de La Stampa che riporta, nero su bianco, i dati
che ci raccontano la provenienza sociale degli iscritti all’Università e
al Politecnico di Torino. Numeri che confermano non solo la disparità
tra classi deboli e forti nell’accesso agli studi accademici, ma anche
il costante acuirsi di questa tendenza. Il quadro che possiamo ricavare
da queste informazioni è, infatti, quello di una popolazione studentesca
che vede un calo degli iscritti nella fascia ISEE 20-30mila, a fronte
di un aumento dei già più numerosi iscritti nella fascia oltre gli
85mila.
In particolare nell’Università di Torino, in contrasto
con gli attuali 22.000 iscritti della fascia ISEE oltre gli 85mila,
troviamo soltanto 16.000 studenti riconducibili alla fascia 20-30mila.
Proprio questa fascia intermedia sempre più esigua, che raramente
garantisce un accesso sicuro ad agevolazioni e a borse di studio per
reddito, ci rimanda l’immagine di una classe media impoverita che ha
sempre meno accesso a quel welfare residuo inesorabilmente sacrificato.
Siamo, dunque, di fronte a un fenomeno che ci parla di una crescente
polarizzazione sociale, effetto della crisi permanente (che possiamo
nondimeno riscontrare anche in altri ambiti come la sanità).
Complice
di una crisi economica ormai sistematizzatasi, sappiamo essere il nuovo
calcolo ISEE previsto dalla legge di stabilità: entrato in vigore per
il corrente anno accademico, il nuovo calcolo inserisce nei parametri
del patrimonio familiare anche tutti gli sgravi e i contributi a chi
quell’ISEE l’ha sempre avuto basso (vedi borse di studio ricevute negli
anni precedenti, pensioni di invalidità, ecc), facendo così risultare
più “ricco” chi in realtà semplicemente ha beneficiato di alcune delle
poche forme di sussidio rimanenti. Durante l’autunno, in diverse città
italiane, si sono attivati differenti percorsi di lotta contro questo
“nuovo ISEE”, che nella capitale sabauda hanno però incontrato la dura
indifferenza della governance accademica. La crescita della fascia ISEE
più alta e ivi la concentrazione negli anni degli studenti non è però un
fenomeno imputabile alla sola variabile di un differente calcolo ISEE.
Si tratta, per l’appunto, di una tendenza che si è stabilizzata a
partire dall’inizio della crisi - e delle politiche economiche di
austerità che ne sono conseguite - e che riflette due dati fondamentali
rispetto all’accesso e alla permanenza nel mondo universitario. Prima di
tutto, abbiamo visto che esiste una fascia sempre più ampia di
popolazione che riconosce, in un ipotetico momento di scelta e
pianificazione della propria vita, di non poter accedere all’università,
o in extremis di doversi abbassare a significativi compromessi
(emigrazione vs. rinuncia a trasferirsi in una città a propria scelta,
lavoro o lavori, e altro) per potervisi iscrivere, in un costante e
ansiogeno calcolo costi presenti - benefici futuri (o meglio, promessi).
A questi, si aggiunge ora un crescente numero di studenti che, una
volta avviato un percorso universitario, si trova in un certo momento a
dover abbandonare gli studi - vuoi perché i costi sono troppo elevati,
vuoi perché gli sforzi per affrontare tali costi si fanno totalizzanti e
non lasciano tempo allo studio. Tutto ciò - ricordiamolo - in
concomitanza a una classe ricca/arricchita che sembra avere un accesso
sempre più privilegiato all’università.
Ecco quindi le
conseguenze di anni di ingenti tagli alle borse e all’agevolazione per
il diritto allo studio effettuate in Piemonte dall’EDISU; di un
inesorabile e costante aumento delle tasse e dei contributi; di
un’amministrazione cittadina che concepisce “Torino città universitaria”
come grande bacino di arricchimento sulla pelle di studenti che sono
studenti studianti, ma anche studenti lavoratori, studenti inquilini di
case in affitto, studenti che di giorno comprano libri fotocopiati e di
sera riversano i soldi risparmiati nelle casse dei locali cittadini.
Nessuno si sorprenda poi, se Comune e San Paolo - sempre felicemente a
braccetto - progettano la costruzione di maxi-residenze studentesche
private (che non solo affitterebbero stanze a prezzi spropositati, ma di
conseguenza innalzerebbero i prezzi di tutto il mercato immobiliare
indirizzato agli studenti universitari).
Uno dei dati più
interessanti che emerge dall’articolo de La Stampa è il rimando al
consistente extragettito che si è venuto a generare sia ad Unito che al
Politecnico. Extragettito che è generato non tanto da tasse
significativamente più elevate per le fasce ISEE superiori, quanto per
l’effetto moltiplicante della crescente concentrazione di studenti in
esse. Sulla gestione di questo accumulo di denaro, si mostreranno le
volontà politiche della dirigenza universitaria, quanto la
determinazione di una popolazione studentesca in cui le “fasce deboli”
sono sempre più povere, di numeri e di risorse da sacrificare
ulteriormente.