sabato 10 dicembre 2016

Il vero cambiamento parte dal No al neo-liberismo. Facciamo avverare i nostri sogni!


L'articolo di Anna Zafesova apparso il 6 dicembre su Il Sole 24 Ore ci permette di fare alcune riflessioni a partire dall'esito del Referendum costituzionale. Innanzitutto rende evidente a tutti che la lotta di classe continua ad esistere (ed è giusto combatterla tutti i giorni), ma che persiste anche una lotta di classe al contrario, dei dominanti sui dominati.

Le politiche degli ultimi anni rientrano perfettamente in questo scenario: dall'attacco ai diritti dei lavoratori attraverso controriforme come il Jobs Act, il cui obbiettivo è ridurre ulteriormente le garanzie in nome della competitività, alla svendita della scuola pubblica ai privati come previsto dalla cosiddetta - con grande slancio ironico - “Buona Scuola”, grazie alla quale si è palesata una volta per tutte la volontà di introdurre all'interno degli istituti superiori logiche biecamente aziendalistiche, nascondendole dietro la false-flag della meritocrazia.

In questo contesto tutti coloro che si sono opposti all'approvazione della riforma costituzionale sono tacciati dalla Zafesova di essere ignoranti, bamboccioni e conservatori che hanno impedito al paese di imboccare la strada del progresso e del cambiamento. È invece necessario affermare che, più che al cambiamento, milioni di persone si sono opposte alla linea continua delle politiche neo-liberiste del governo Renzi, di cui quelli sopra sono due esempi tra i tanti.

Si dirà che il Referendum concerneva la riforma costituzionale e che quindi parlare di politiche neo-liberiste è fuori luogo. Invece no. La riforma era chiara espressione di quel tipo di politica, di quel tipo di visione del mondo: la stabilità e la governabilità, che la riforma avrebbe dovuto garantire, significano campo aperto per l'esecutivo di turno verso l'approvazione di riforme imposte dal potere finanziario internazionale.

Il dato di fatto, e non è dietrologia da quattro soldi, è che la riforma eseguiva volontariamente, o per i più ottimisti, involontariamente, le richieste della Jp Morgan che, in un documento del 28 maggio 2013 dal titolo “Aggiustamenti nell'area euro”, asseriva che «I problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo».

Concludendo che «I sistemi politici e costituzionali del Sud Europa presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».

É dunque evidente che non ci si è opposti al cambiamento, ma alla conservazione di un assetto politico che è sempre stato un avamposto degli interessi del mercato fine a se stesso, cadendo in quello che Gramsci definiva “cretinismo economico”. Cretinismo economico in cui cade la stessa Anna Zafesova quando scrive che: “Le leggi dell'economia sono inesorabili quanto quelle della fisica”, che equivale ad affermare che il sistema capitalista è sempre esistito e sempre esisterà, allo stesso modo dello sfruttamento insito al suo interno. Davvero?

Se da una parte si può dire che la Teoria della Gravità di Newton è sempre esistita anche prima che le venisse dato un nome – ovvero, che il fenomeno descritto dalla legge esisteva anche prima della sua scoperta - la stessa cosa non si può dire per il modello economico vigente. Sarebbe sufficiente sfogliare un libro di storia per scoprire che nel mondo sono esistiti e si sono susseguiti innumerevoli modelli economici, non tutti per forza coincidenti con le esigenze delle classi dirigenti (o dei “vincenti”, come preferisce definirli la Zafesova…). L'idea di una naturalità delle leggi di mercato, evidentemente, manca di prospettiva storica e quindi di senso logico.

 
La demonizzazione dei diritti sociali, che dovrebbero garantire la possibilità di progettare il futuro, permette di trasformare gli stessi in privilegi e, conseguentemente, di far passare l'idea che chi rivendica i suoi diritti stia in realtà proteggendo i suoi privilegi. E, allora, chi non accetta di emigrare e preferisce lottare per ottenere quei diritti sociali minimi che gli permettano di vivere una vita dignitosa, di comprarsi una casa, di avere una famiglia, viene bollato come nostalgico di un mondo ormai passato che è inutile rievocare.

Nell'ultimo periodo si assiste sempre più spesso alla comparsa sui quotidiani di “Rubriche” che raccontano ed elogiano le storie di italiani che hanno lasciato tutto e sono andati all'estero per fare fortuna; inutile aggiungere che il lieto fine di queste storie consiste sempre nella realizzazione di versioni più o meno aderenti al canone del cosiddetto “sogno americano”. E così, si fa l'elogio dell'uomo (o della donna) senza radici, dell'uomo che si è fatto da solo, dell'uomo che ha realizzato il suo sogno senza gravare sullo Stato. Si ripete che bisogna puntare sulla meritocrazia, sulla competitività, e che bisogna valorizzare le eccellenze. Ora, anche qualora volessimo adagiarci su questo storytelling, è quantomai evidente che le eccellenze in quanto tali sono poche; è semmai necessario chiedersi chi pensa alle persone comuni, a coloro che non finiranno mai sulle copertine dei giornali patinati ma – per la Zafesova è stato un brutto colpo scoprirlo - esistono e costituiscono la maggioranza della popolazione. 

I giovani hanno votato No perchè si rendono conto che con le politiche neo-liberiste l'unica cosa che possono ottenere è un bene di consumo a basso costo, magari anche una vacanza all'estero Low Cost, ma sicuramente non avranno un lavoro, (si veda alla voce “40% di disoccupazione giovanile”), e non certo per colpa di una mentalità provinciale o da bamboccioni...

E allora se “i sogni che in Italia non si devono avverare” sono quelli dei sostenitori del Sì, che non hanno votato per il cambiamento, ma semplicemente per mantenere e rafforzare i loro, in questo caso sì, privilegi - si vedano i risultati del voto nel centro di Milano, della Milano bene dellaScala e della Borsa dove il Sì ha stravinto con il 65% - forse è giusto che non si avverino. 

Se il progresso è rappresentato dai negozi aperti la domenica, dagli studenti che lavorano gratis per le multinazionali, dai precari pagati a voucher, dalle aziende che delocalizzano, o dalla figura emergente dell'uomo senza radici, allora il governo e il clero giornalistico mentono sapendo di mentire quando descrivono quadri del tutto lontani dalla realtà sociale che li circonda. Per questo motivo hanno deciso di esporsi, una volta per tutte, rimarcando la propria appartenenza alla fazione dei pochi che controllano il presunto progresso a scapito di quelli che ne escono schiavi, cioè noi.