Expo,
nella sua eccezionalità di grande evento, ci si palesa come modello di quelle
linee direttrici che il governo Renzi ha sempre cercato abilmente di camuffare
dietro la retorica del progresso; con la presentazione di Expo come occasione
necessaria e imperdibile ci stanno di fatto imponendo come normalità
l’applicazione di ulteriori e più approfondite misure di stampo neoliberista
con cui vorrebbero rispondere alla crisi finanziaria ed economica.
In
questo scenario il ruolo che assume il lavoro volontario e quindi non
retribuito è emblematico. I 18.500 volontari che lavoreranno nell’arco dei 6
mesi di esposizione corrispondono infatti ai tre quarti del totale di unità
lavorative impiegate per Expo. Ciò è reso possibile da quell’infame accordo
siglato nel luglio 2013 tra i sindacati confederali e il comune di Milano. Se
leggiamo questi dati inserendoli nel contesto generale del mercato del lavoro,
che tende ad una diffusa precarizzazione - già legalizzata sul piano
legislativo dal Jobs Act - si esplicitano gli intenti politici che stanno
dietro a queste manovre: nutrire di forza lavoro gratuita le grandi imprese e
fondazioni sempre in cerca di un bacino a cui attingere acqua.
E
se tanti giovanissimi sembrano essere disposti veramente a offrirsi come
volontari per un evento come Expo, non lo dobbiamo attribuire semplicemente al
successo di una campagna di giustificazione morale del lavoro gratuito
impostata sul concetto di autoaffermazione ed opportunità di esperienze social (“stringerai
amicizia con centinaia di persone, ascolterai più di 50 lingue, il tuo wall
sarà pieno di post, sarai seguito da milioni di persone, sarai taggato in
decine di fotografie, troverai nuovi collegamenti”), ma anche e soprattuto
perché fa leva su atteggiamenti e tendenze presenti già da tempo all’interno
del mondo universitario e della formazione superiore. Uno studente del
Politecnico, per esempio, che quotidianamente utilizza il suo ingegno e la sua
creatività per “sfornare progetti freschi ed innovativi (e gratuiti!)” per
aziende fittizie o reali non troverà strano fare altrettanto per Expo, a
maggior ragione se quest’ultimo ha tra i propri partner e collaboratori
l’ateneo stesso.
Ci
sembra dunque doveroso individuare all’interno della nostra Università quei
meccanismi che ci formano al precariato. Esemplificativa è l’esperienza di
#hackUniTo, contenitore creato nel 2013 con la collaborazione dell’onnipresente
Compagnia di San Paolo che permette uno sfruttamento a titolo gratuito della
forza lavorativa universitaria per intessere e fortificare nuovi legami tra
Università ed aziende. L’Università di Torino offre ai partecipanti la
possibilità di presentare il proprio progetto a quegli stessi imprenditori,
investitori, manager ed amministratori pubblici che poi ritroviamo lucratori
coinvolti nei processi di modificazione e gentrificazione nei quartieri della
nostra città. Abbiamo visto infatti come la costruzione del nuovo Campus Luigi
Einaudi sia l’ennesimo spreco di denaro utilizzato inutilmente per la creazione
di un edificio sfarzoso, pensato più per il ruolo di innovazione che assume
nelle trasformazioni del quartiere Vanchiglia (sempre più costoso e
invivibile), che per una concreta funzionalità didattica. Così il Campus si
afferma come vetrina luminosa dietro cui nascondere un’Università in cui gli
studenti faticano a pagare le tasse (addirittura destinate ad aumentare) e
tutti i costi della vita universitaria, alternandosi fra un tirocinio e uno
stage, mentre l’amministrazione cerca di nascondere lo stato pietoso in cui
versano le vecchie strutture universitarie, colpevole addirittura di aver
consapevolmente esposto per anni migliaia di studenti alla presenza di amianto
nella sede di Palazzo Nuovo. Ma gli avidi tentacoli di uniTo non si
accontentano di Vanchiglia e si allungano anche verso il centro, con la
costruzione all’interno del complesso della Cavallerizza Reale di un’aula magna
costata 6 milioni di euro (affittabile dagli studenti alla modica cifra
di 800 euro per evento!) e verso Barriera di Milano con la prossima
trasformazione della Manifattura Tabacchi in un nuovo polo universitario.
L’Università
si afferma così come luogo di sperimentazione sia per lo sfruttamento di
capitale umano sia per meccanismi di una speculazione finanziaria ed
urbanistica sempre più becera. Il mondo universitario comincia così a
configurarsi come un universo allo sfacelo in cui chi più può arraffa e gli
studenti diventano tanto portafogli da spremere quanto forza lavoro da sfruttare.
Le nostre creatività e spontaneità vengono sminuite nelle aule universitarie,
gli sbarramenti imposti per accedere a livelli sempre più superiori di
istruzione e la scrematura di studenti dalla triennale ad un ipotetico master
sembrano confermare più la norma della “sopravvivenza nella giungla” che quella
del diritto allo studio, ci viene ripetuto di tanto in tanto (ma abbastanza
spesso da non dimenticarcene) che nel mercato del lavoro di oggi bisogna essere
grati di essere pagati, mentre il coinvolgimento crescente di enti finanziari
nella gestione delle risorse universitarie e la prospettiva di contributi
universitari sempre più onerosi e indifferenti alle fasce contributive sembrano
essere i punti cardine della riforma universitaria appena emersa.
A
Torino come a Milano dietro questi fenomeni troviamo sempre lo stesso manipolo
di potenti, che puzzano di sinistra istituzionale, quelli che vogliono le
grandi opere come il Tav, che ordinano sfratti e sgomberi, quelli che
organizzano grandi eventi come Expo (e poi cercano di venderti il biglietto in
promozione con la tessera del partito...). La retorica renziana, ripresa nel
locale dai vari Fassino-Pisapia, la retorica del paese in ripresa e della smart city,
cosa nasconde dietro la costruzione di una campagna di marketing e di
un’immaginario basati su vuote parole d’ordine come sviluppo, creazione di
posti di lavoro e opportunità? Un filo conduttore che lega tutta Italia, ossia
quello di un impoverimento sempre maggiore di una classe frammentata e
stratificata, che nel concreto fatica ad arrivare a fine mese, a cui vengono
tolti i servizi fondamentali come sanità e istruzione pubbliche (accessibili a
parole, ma sempre meno nei fatti).
In
questa situazione sempre più caotica e disagevole (volutamente disorientante),
dov’è il soggetto giovanile? Schiacciato nella morsa di un futuro precario
legalizzato da agenzie interinali e progetti criminosi qual è Garanzia Giovani,
che altro non sono se non spazi pubblicitari per aziende e imprese che
vorrebbero sfruttarci in cambio di una vacua promessa di formazione. Il
precariato giovanile non è l’oggetto di una campagna, né di articoli o
statistiche, ma una realtà tangibile, concreta, fatta in carne ed ossa da
milioni di ragazzi e ragazze che non possono auspicare ad un futuro dignitoso
ed autonomo. La concretezza e la tragicità di questa vita precaria però è tanto
forte e pungente quanto la risposta che vogliamo dare con la nostra presenza in
piazza il 1 maggio a Milano e tutti i giorni nei nostri territori. Dei loro slogan
non sappiamo che farcene, le loro belle parole non danno lavoro, non permettono
crescita, non ci pagano gli studi né l’affitto. Il 1 maggio non saremo ad
ammirare come spettacolo l’esposizione universale dello sfruttamento da parte
di banche e multinazionali, non saremo parte della ridondante farsa che è
Expo2015. Per tutti questi motivi, il 1 maggio saremo presenti a Milano,
portando la ricchezze delle lotte dei nostri territori, sempre dalla parte di
chi si oppone e si organizza per riprendersi a piccoli grandi passi una vita
migliore.