A dicembre l'Università
di Torino e la Compagnia di San Paolo (ente “benefico” della
banca torinese) hanno siglato una convenzione pluriennale per gli
anni 2013-2015, in cui vengono stabilite obbiettivi e strategie
comuni (nonché il finanziamento di 21milioni di euro da parte della
Compagnia). Niente che ci stupisca. La collaborazione tra enti
privati e università pubblica non è una novità e, per quanto
riguarda il caso torinese, le convenzioni risalgono almeno alla
seconda metà degli anni novanta, con una significativo rafforzamento
negli ultimi cinque anni. I due soggetti in questione oltre ad essere
coinvolti entrambi nell'attività di diversi enti del territorio
metropolitano, sono co-fondatori di due enti strumentali: il Collegio
Carlo Alberto e, insieme al Politecnico di Torino, la Human Genetics
Foundation (HuGeF). Ci interessa tuttavia leggere e commentare i dati
politici che ne escono e la loro relazione con la vita degli studenti
universitari.
La prima cosa da notare,
per quanto ovvia, è che la convenzione è testimonianza di una
convergenza di interessi tra le due parti. L'università è stata
trasformata dai vari cicli di riforme in un'azienda che ha come unico
fine1
quello di attirare clienti-studenti e soprattutto capitali. Per
questo i principali obbiettivi (e badate bene, nonostante la
retorica, non significano migliori condizioni di vita per gli
studenti) sono:
- ampliare la rete di collaborazioni internazionali dell'ateneo;
- attrarre un numero maggiore di studenti, che sono l'elemento economico e burocratico (vedi riforma Gelmini e decreti Profumo) necessario alla sopravvivenza dell'ateneo-azienda;
- sviluppare cooperazioni con istituzioni pubbliche e private per aumentare la competitività del territorio;
- sostegno alla ricerca e alla formazione avanzata, operazioni intese come potenziamento del capitale umano e come strumento dell'ateneo per competere nell'accaparrarsi risorse esterne.
Venendo meno il
finanziamento pubblico, per raggiungere questi scopi accorrono in
aiuto i capitali privati della Compagni di San Paolo. Ma che cosa ci
guadagna questa fondazione costola di una delle principali banche
italiane?
Prima di tutto il potere
di finanziare con diversi milioni di euro un affamato ente pubblico
rende la Compagnia in grado di esercitare una notevole influenza su
molte decisioni, che probabilmente hanno più a che fare con il vile
denaro che con la ricerca. Infatti chi gestisce un'importante quota
del potere della città di Torino è sicuramente più interessato ad
avere peso nelle decisioni riguardanti il territorio metropolitano
piuttosto che influenzare il lavoro di qualche volenteroso
ricercatore precario, anche se scomodo. Per esempio, l'università di
Torino negli ultimi anni ha finanziato molti progetti edilizi (vedi
il Campus Luigi Einaudi o la nuova aula magna) e molti altri sono in
discussione (la tribolata città della salute, il nuovo polo
scientifico etc... ), affari da milioni e milioni di euro. Peraltro è
anche importante notare che le tasse degli studenti dell'università
passano per le casse della banca SanPaolo: un grosso e costante
flusso di denaro che per la finanza significano capitali da investire
magari in qualche hedge fund dagli alti rendimenti, motivo per il
quale ha senso finanziare l'ateneo perché attiri ancora più
studenti.
Ad un altro livello di
ragionamento non è da sottovalutare anche la retorica sulla ricerca
per sviluppare competitività, parola che sta sempre a significare
maggior sfruttamento dei lavoratori e maggiori profitti per chi
controlla le aziende, che spesso è, in maniera diretta o indiretta,
una banca.
È chiaro che non ci
interessa denunciare ancora – un leitmotiv degli ultimi sei anni –
la perdita di una supposta idilliaca indipendenza dell'università
pubblica rispetto alle dinamiche di aziendalizzazione ed estrazione
di profitto del capitalismo contemporaneo, processo che peraltro è
irreversibile allo stato attuale. Piuttosto l'intento è quello di
fornire un quadro, per quanto parziale, della situazione odierna,
dotarci di strumenti per comprenderla e contribuire al ragionamento
di chi, costruendo lotte autonome, a tutto questo si vuole opporre.
#HackUniTo: la messa al
lavoro degli studenti
Uno
degli obbiettivi della convenzione siglata a dicembre da Università
di Torino e Compagnia di San Paolo è l'innovazione dei processi
gestionali dell'università, molti dei quali oggi risultano obsoleti
e non efficienti. L'ateneo torinese mostra una serie di difetti che
gravano sugli studenti. L'orario delle biblioteche (in particolare
quella del campus) hanno subito delle riduzioni significative che
impediscono di rimanere a studiare oltre le 18; oramai insopportabile
è la mancanza di spazi di aggregazione o semplicemente per poter
mangiare e rilassarsi tra una lezione e l'altra e tanti altri sono i
disservizi e i tagli che a più riprese si sono presentati. Il tutto
si va a sommare agli insostenibili costi da affrontare per poter
studiare, le tasse, i libri, gli affitti, soprattutto in un momento
di crisi economica che sta impoverendo il paese. Tant'è che a
Palazzo Nuovo è nata la Biblioteca Autogestita TerzoPiano per
provare a rispondere ad alcune di queste esigenze, per offrire uno
spazio anche di discussione per iniziative culturali o di lotta, per
pretendere miglioramenti tarati sui bisogni degli studenti.
Non
pensiamo che sia un caso che dal cilindro dei vertici accademici sia
uscito #HackUniTo, un evento in cui tutte le proposte degli studenti
dovrebbero essere vagliate per migliorare l'esperienza universitaria.
Nello stile a cui ci ha abituato il mondo delle start-up ci saranno
vari passaggi in cui i progetti verranno selezionati, poi finanziati
e realizzati se avranno superato attente verifiche. Sul piano locale
questo evento vorrebbe raccogliere ogni moto di protesta per la
disastrosa situazione dell'università inserendolo in un percorso ben
controllato e diretto dalle istituzioni accademiche (in modo che non
crei reali problemi), sfruttando la voglia di valorizzazione e messa
all'opera degli studenti, i quali altrimenti non troverebbero spazio
in un paese che da questo punto di vista è bloccato; allo stesso
tempo sarà utile per propagandare l'immagine di un ateneo non
autoritario, in cui è possibile ottenere diritti e servizi senza
dover scontrarsi con la rigidezza della gerarchia accademica. Questa
iniziativa trova le proprie radici ideologiche in un modello che
impone agli studenti di considerarsi imprenditori del proprio
capitale umano, di farsi garanti del disciplinamento della forza
lavoro – ovvero su se stessi, sui propri desideri e sulle proprie
rivendicazioni – e dei capitali investiti, quindi di considerarsi
gli unici responsabili di una scarsa redditività – anche fino a
rimetterci di tasca propria.
L'impressione è quella di trovarsi di
fronte ad una presa in giro: gli studenti potranno presentare
progetti di miglioramento e con gli eventuali scarni fondi dovranno
(diventando imprenditori di sé stessi) finanziare il progetto ed il
proprio lavoro, di progettazione e poi di realizzazione, di fatto
l'università appalterebbe loro questi miglioramenti sgravandosi
dalla responsabilità e dal finanziamento di quei servizi che
dovrebbe fornire gratuitamente a tutti gli iscritti – cosa che tra
l'altro fa sorgere la domanda su come vengano spesi i soldi delle
nostre tasse. Se venisse approvato il progetto per una nuova aula
studio dovranno essere gli studenti coinvolti a diventarne i gestori
e i garanti – quindi a lavorare, di fatto, gratuitamente – e non
l'università con delle assunzioni di personale dedicato. Se questo è
il primo aspetto per cui questa iniziativa ci insospettisce, altro
ancora pensiamo sia da aggiungere. Infatti per tutti noi sarebbe un
sollievo se le code in segreteria fossero più corte, se i carichi
didattici si potessero fare in maniera più comprensibile o se i
tanti disservizi a cui l'università ci sta abituando da anni
potessero sparire. Però ci permettiamo di esprimere i nostri dubbi
sul fatto che problemi simili, o che realmente complicano la vita
degli studenti, vengano risolti. Basta guardare le descrizioni più
dettagliate (per intenderci, non quelle di facciata) per comprendere
meglio la natura di questo evento: di fatto vengono
richiesti progetti che hanno molto più a che fare con i problemi dei
manager dell'azienda-università che con i problemi degli studenti,
dei ricercatori o dei lavoratori. Nel mezzo si trovano anche belle
proposte su cose utili (aule studio, applicazioni per orientarsi
nelle facoltà etc...), ma dato i presupposti avranno possibilità di
essere realizzate? Infatti l'obbiettivo dichiarato è quello
di produrre innovazione per aumentare la competitività dell'ateneo,
rendere più efficienti i processi di ricerca e sviluppo, attirare
capitali e altri progetti di “process re-engineering”. In
questo senso #HackUniTo (da ricordare: iniziativa interna alla
convenzione con la Compagnia di San Paolo) ha scopi che vanno ben al
di là dell'ambito universitario. L'impressione è che sia
l'occasione per una messa al lavoro diffusa, collettiva, a basso
costo e a basso rischio finanziario delle capacità degli studenti
con il fine produrre idee ed innovazione da poter impiegare nelle
imprese per estrarre maggiori profitti dai processi lavorativi. Un
lavoro di innovazione che si realizza senza che i detentori del
potere finanziario debbano sborsare soldi per ulteriori assunzioni o
per i finanziamenti alla ricerca che risultano troppo costosi per il
capitalismo italiano. Inoltre il finanziamento dei progetti non sarà
solo proveniente dai privati, ma proverrà anche dal crowdfunding:
in questo modo l'università accelera sulla messa a valore produttiva
delle relazioni sociali degli studenti, che dovrebbero attivare
amicizie e conoscenze (più o meno lontane) per recuperare capitali
da impiegare per questi progetti di innovazione dei processi
produttivi e amministrativi dei soggetti (pubblici o privati)
interessati – va da sé, non alla qualità della vita degli
studenti.
Insomma
dietro questo evento presentato come un'apertura gioiosa
dell'Università di Torino alle istanze e alla voglia di protagonismo
degli studenti in realtà c'è molto di più, e di questo ben poco
sarà un bene per chi nell'università lavora o studia. Rimaniamo
convinti che poco migliorerà nella vita di chi studia e lavora
all'Università di Torino finché ci faremo prendere in giro dai
giochetti delle istituzioni accademiche, interessate solamente
difendere i propri privilegi, per questo è importante criticare i
tentativi dell'università di sottrarsi alle proprie responsabilità
sfruttando la voglia di miglioramento e di impegno degli studenti.
1Molto
sarebbe da dire sui fini della formazione nel sistema capitalistico.
Qua ci riferiamo, più semplicemente, allo scopo che persegue
l'amministrazione dell'università.