Un report da Città del Messico del Collettivo Solidaria43 sulla giornata di mobilitazione del 20 Novembre per gli studenti di Ayotzinapa:
Il 20 Novembre 2014, si è concluso in una manifestazione oceanica a Città del Messico il giro delle 3 carovane dei familiari dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa (scomparsi il 26 settembre). Le tre carovane hanno percorso il paese a Nord, Centro e Sud, sensibilizzando e incontrando altre realtà in lotta, fra cui l'EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas.
Il 20 Novembre 2014, si è concluso in una manifestazione oceanica a Città del Messico il giro delle 3 carovane dei familiari dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa (scomparsi il 26 settembre). Le tre carovane hanno percorso il paese a Nord, Centro e Sud, sensibilizzando e incontrando altre realtà in lotta, fra cui l'EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas.
Durante la
mattinata un gruppo di circa 600 manifestanti ha tentato di bloccare gli
accessi all'aeroporto internazionale Benito Juarez del Distrito Federal. Gli
scontri con i 1500 elementi di polizia schierati in assetto antisommossa, non
si sono fatti attendere. La polizia ha
accerchiato il corteo, togliendo ai manifestanti ogni possibilità di fuga.
Grazie all'intervento di una associazione per i diritti umani i dimostranti
sono stati poi scortati fino a piazza Tlatelolco, da dove partiva una delle
manifestazioni del pomeriggio. Sedici di loro, tuttavia, sono stati tratti in
arresto.
Alle 5 del pomeriggio i manifestanti hanno cominciato a concentrarsi in tre diversi punti della città, per formare tre cortei guidati dalle carovane dei familiari e compagni dei 43 normalistas. Il movimento studentesco si è dato appuntamento a Piazza delle tre culture di Tlatelolco, già tristemente nota per il massacro del 2 Ottobre del 1968. Al Ángel de la Independencia si sono radunate a migliaia le associazioni della società civile tra cui i vari movimenti femministi contro il femminicidio di Stato e il movimento LGBTI, ma anche rappresentanze dei vari movimenti indigeni, spezzoni delle Normali Rurali e gruppi dalla resistenza di Atenco che hanno manifestato a cavallo brandendo Machetes, simbolo della resistenza contadina. Il terzo corteo è invece partito dal Monumento de la Revolución ed è da segnalare la presenza e la solidarietà dei gruppi di EZLN aderenti alla Sexta.
Alle 5 del pomeriggio i manifestanti hanno cominciato a concentrarsi in tre diversi punti della città, per formare tre cortei guidati dalle carovane dei familiari e compagni dei 43 normalistas. Il movimento studentesco si è dato appuntamento a Piazza delle tre culture di Tlatelolco, già tristemente nota per il massacro del 2 Ottobre del 1968. Al Ángel de la Independencia si sono radunate a migliaia le associazioni della società civile tra cui i vari movimenti femministi contro il femminicidio di Stato e il movimento LGBTI, ma anche rappresentanze dei vari movimenti indigeni, spezzoni delle Normali Rurali e gruppi dalla resistenza di Atenco che hanno manifestato a cavallo brandendo Machetes, simbolo della resistenza contadina. Il terzo corteo è invece partito dal Monumento de la Revolución ed è da segnalare la presenza e la solidarietà dei gruppi di EZLN aderenti alla Sexta.
I tre cortei,
che hanno marciato riempiendo tre avenidas
principali della città, hanno iniziato a confluire nella grandissima piazza de
la Costitución (Zócalo) riempiendola a flusso continuo per ben 4 ore; una parte
consistente del corteo non era ancora riuscita a raggiungere la piazza quando
la polizia ha eseguito l'ordine di sgombero violento.
Nella piazza
gremita del Zócalo, alle 19.30 circa, gli studenti della UNAM (Universidad
Nacional Autonoma de México) hanno dato fuoco ad un effige del presidente Peña
Nieto al grido “Dimissioni, Assassino”. Dal palco hanno parlato i familiari
delle vittime di Ayotzinapa e di tutte le altre stragi commesse dal NarcoEstado
riempiendo la piazza di una vibrante coinvolgimento.
Circa alle 21
alcuni spezzoni del corteo hanno nuovamente assaltato la porta del Palazzo
Nazionale, come lo scorso 8 Novembre, inizialmente sguarnito di forze
dell'ordine. La situazione si è fatta tesa quando, in perfetta coerenza con
l'annuncio di Peña Nieto di voler reprimere il movimento, i granaderos (polizia antisommossa) hanno
fatto irruzione nella piazza entrando dalle vie laterali e uscendo dal palazzo
a protezione dello stesso. Dopo il lancio di alcuni fumogeni e l'utilizzo di
idranti, la polizia ha attaccato violentemente i manifestanti, sgomberando lo
Zócalo con un impeto e una ferocia inaudita, schiacciando gli ultimi rimasti in
piazza contro gli edifici di fronte al Palazzo Nazionale, continuando a
manganellarli. Il bilancio è di circa 20 arrestati (anche se le cifre esatte
sono difficili da reperire) e un numero imprecisato di feriti, che non si
dichiarano per paura di persecuzioni. Durante il corteo sono state usate
tecnologie repressive come droni in grado di scattare 10.000 foto al minuto e
proiettili di gomma.
Denunciamo
questo atto repressivo come culmine delle violenze degli ultimi giorni. Molti
compagni del movimento sono stati minacciati di violenza fisica e desaparición,
sono stati eseguiti arresti dentro l'universitá e la polizia in borghese ha
sparato di fronte alla facoltà di filosofia contro i compagni dello spazio
occupato, ferendone due. Altri sono stati processati e celermente condannati
alla detenzione, ci possiamo aspettare che gli arresti di ieri portino a
processi e condanne ugualmente sommarie.
Segnaliamo
l'altra faccia della repressione, quella mediatica, che mira, come sempre, a
dividere il movimento tra buoni e cattivi. Le dichiarazioni del Presidente Peña
Nieto sono sconcertanti: fa infatti riferimento alla difesa da parte dello
Stato del sacrosanto diritto a manifestare “preso in ostaggio dai violenti”.
Queste sono state accompagnate dalle dichiarazioni del Segretario per la
Sicurezza Pubblica del Distretto Federale, Jesús Rodríguez Almeida, secondo il
quale le forze dell'ordine hanno dovuto difendersi dagli attacchi diretti alla
loro vita da elementi che odiano “insensatamente” le istituzioni dello stato.
Gli attacchi
repressivi dello Stato messicano non fermano il movimento. Durante le assemblee
preparatorie al corteo hanno preso la parola alcuni compagni normalistas della carovana del Sud i
quali hanno confessato che quando sono partiti con le carovane pensavano di
incontrare nel paese un movimento in via di scioglimento. Ciò che hanno
incontrato e quello che abbiamo visto tutti alla manifestazione di ieri è
invece un movimento in costruzione, sempre più indignato e sempre più
arrabbiato, in cui si stanno incontrando e articolando molte istanze e
rivendicazioni contro il NarcoStato, consapevole che i desaparecidos e le vittime dei vari governi messicani collusi con
il crimine organizzato non sono solo quarantatre, e che la strategia del
terrore in atto è parte del progetto neoliberale ora rappresentato dalle
riforme strutturali in campo.
La sfida da
affrontare adesso per il movimento è trovare un'articolazione che permetta di
tenere unite le sue varie anime, tra cui la tristemente classica distinzione
tra chi vuole manifestare nel rispetto totale delle leggi e chi è per attuare
anche azioni dirette e contundenti.
Vogliamo
gridare a piena voce che il caso di Ayotzinapa, e tutti gli altri massacri
degli ultimi anni, non sono opera di qualche mela marcia tra le forze
dell'ordine, di gruppi paramilitari fuori controllo o di uno Stato fallito. Si
tratta, invece, come nel caso della brutale repressione di questi mesi, di
pratiche di potere perfettamente normali e consuete, ufficialmente legali o
criminali, utilizzate sia in maniera diretta che indiretta dallo Stato nella
difesa degli interessi dell'ordine capitalista e come contrasto alle resistenze
popolari. Ribadiamo che le pratiche di repressione, massacro, rapimenti e
intimidazioni sono dispositivi che partecipano a una stessa strategia ora
applicata alla realizzazione delle riforme neoliberali definite dal Pacto por México.