sabato 31 maggio 2014

Cresce il debito studentesco USA. Una nuova bolla?

La notizia è già apparsa altre volte sui giornali italiani: negli Stati Uniti il debito studentesco sta crescendo a dismisura, tanto da temere per lo scoppio di una nuova bolla finanziaria. Partiamo dai dati: la cifra complessiva raggiunta dal debito studentesco è di 1.110 miliardi di dollari; nell'ultimo decennio è cresciuto del +361% rispetto ai 241 miliardi del 2003. Per capirci, questa crescita non ha pari in nessun altro settore del credito (prestiti ipotecari, debiti contratti con carte di credito, prestiti per l’acquisto di automobili, mutui). Che la preoccupazione ai piani alti stia crescendo lo testimoniano anche gli interventi del governo USA: ha approvato la possibilità di rifinanziare a tassi agevolati i vecchi debiti e stanno studiando come condonare parte di questi debiti (in buona parte destinati all'insolvenza) scaricandone i costi sui contribuenti. Manovre che diventano urgenti per garantire gli investimenti delle banche che altrimenti si troverebbero con un'enorme massa di creditori insolventi. Infatti secondo i dati della Fed il tasso di insolvenza (escludendo i beneficiari delle agevolazioni) raggiunge il 20% e la percentuale di prestiti non ripagati oltre i 90 giorni è dell’11%. Anche in questo caso è l’unico tasso a doppia cifra tra tutti quelli relativi a mutui, prestiti ipotecari, carte di credito e debiti per le automobili.
Questi dati non sono che l'aspetto contabile di un modello di organizzazione capitalistica che si avvita su se stesso nella difficoltà di trovare qualcun altro su cui scaricare i costi della crisi.

Per decenni l'istruzione universitaria ha permesso di coltivare l'aspirazione a migliorare la propria condizione sociale (di classe). Negli Stati Uniti (ma anche nel Regno Unito e in Giappone...) a fronte degli alti costi dell'università l'indebitamento privato (in media più di 20mila dollari a testa) ha rappresentato l'unico strumento per accedervi, con la promessa-speranza di poterlo ripagare grazie a futuri lavori stabili e ben pagati. Eppure l'attualità della crisi parla un linguaggio diverso: il mercato del lavoro Usa è al limite del collasso, se il tasso di disoccupazione cala lievemente al 6,3% (ma quello di occupazione rimane invariato) è solo grazie al “trucco” di aver escluso dal conteggio della forza lavoro 92 milioni di cittadini considerati “irrecuperabili” al mercato (nel 2000 erano circa 74 milioni). La promessa, non mantenuta, si rivela una trappola: ai giovani sono state sottratte tutte le possibilità, il lavoro non c'è, se c'è è precario e mal retribuito, ma sulle spalle rimane un enorme debito che è sempre più difficile ripagare. Questa situazione di “generazione fallita” (nel quadro capitalistico) stride ancora di più se si pensa che la remunerazione dei rettori delle università americane ha raggiunto cifre astronomiche (in media sfiora i 500mila dollari annui), che le retribuzioni maggiori le hanno quelli delle università con un più alto tasso di indebitamento degli studenti (spesso dovuto proprio alla necessità di pagare lauti stipendi agli apparati dirigenziali) e che i dirigenti delle università, insieme ai manager della finanza, sono gli unici a non sentire la crisi e a vedere, dal 2008 ad oggi, crescere ulteriormente i loro compensi.
Nota interessante, stanno aumentando i casi di giovani senza lavoro e con finanze in rosso che intraprendono in maniera fittizia un percorso di studi solo per poter accedere ai prestiti e di conseguenza far fronte alle necessità quotidiane e poter accedere a consumi altrimenti negati dal crescente impoverimento. Nel quadro di crisi il debito studentesco non è solo funzionale al pagamento di alte rette – imposte – per l'accesso all'università, ma la bolla è alimentata anche dal tentativo di resistenza (individuale e nel quadro sistemico) dei giovani all'impoverimento e alla sottrazione di possibilità – di consumo e di vita.